Alcuni giorni fa ho pubblicato sui miei canali social una serie di immagini che parlavano del potere dei nostri abbracci e di come essi influenzano molto la nostra vita e le nostre relazioni.

Il tema ha portato a diverse riflessioni nei commenti e in chat. Molte persone erano interessate a saperne di più e in modo particolare a come rispondere ad una vera “carestia” vigente in tante chiese (e non solo) sul “contatto fisico salutare”.

COVID-19

Tutti ricordiamo il momento in cui abbiamo cambiato letteralmente le nostre abitudini. Niente saluti, abbracci, baci, strette di mano, sorrisi ecc. Sembrava “strano” inizialmente ma poi è diventato normale. 

Ritornare a salutarci con il “contatto fisico”, dopo alcuni anni, ci ha fatto veramente apprezzare quello che ci era mancato e che prima era parte della nostra routine.

Una ricerca del Texas Medical Center ha svelato che tantissime persone vivono una verà “carestia del contatto/tocco fisico”. 

Questo fenomeno è stato causato dalla rimozione delle interazioni sociali di base. “La carestia tattile aumenta lo stress, la depressione e l’ansia, innescando una cascata di effetti fisiologici negativi”.

Il dottor Brian Wind afferma: “[Il contatto fisico] segnala sicurezza, fiducia e senso di appartenenza”. 

Il tocco umano fa parte della vera chiesa e comunità. Infatti, la vita di Gesù è un esempio sull’importanza del contatto fisico.

GESÙ

Gesù ha insegnato e ministrato anche a distanza (montagna, barca ecc.), ma molto spesso ha usato il contatto per avvicinarsi di più alle persone.

Matteo 8:3 Gesù, tesa la mano, lo toccò dicendo: «Lo voglio, sii purificato». E in quell’istante egli fu purificato dalla lebbra.

Luca 4:40 Al tramontar del sole, tutti quelli che avevano dei sofferenti di varie malattie li conducevano a lui; ed egli li guariva, imponendo le mani a ciascuno.

Una sfida per la chiesa e i ministri tutti. L’isolamento e i culti online hanno aumentato la necessità di un contatto fisico tra i credenti.

Dobbiamo essere intenzionali nell’abbracciare l’unicità di ciò che offre un’esperienza di chiesa di persona. Stringere la mano a qualcuno. Abbracciare un vecchio amico. Anche solo sedersi accanto a un’altra persona mentre si adora Dio insieme. Queste esperienze fisiche in realtà fanno qualcosa nella nostra anima ad un livello molto profondo.

IN CHE MODO I NOSTRI PROGRAMMI, EVENTI E INCONTRI POSSONO FACILITARE TUTTO QUESTO?

Quali semplici modifiche potremmo apportare ai nostri locali di culto per facilitare interazioni più significative?

Sappiamo che la semplice partecipazione a un incontro domenicale non è una garanzia di comunità, ma svolge un ruolo importante nel riunire le persone.

Nella comunità ecclesiale locale, sembra che ci sia un bisogno costante di educare le persone che la chiesa non è un incontro o una sedia dove sedersi. 

La frequenza in persona non è una bacchetta magica, ma fornisce dimensioni importanti dell’esperienza umana che arricchiscono la nostra vita.

In una società che sta vivendo la carestia del contatto, riunire le persone è soddisfare un bisogno sociale essenziale ma spesso dimenticato: la necessità di stare insieme.

L’esigenza sentita nella nostra società di uscire dall’isolamento e connettersi nel mondo reale ci offre un’opportunità pastorale enorme. Quindi, praticamente, che cosa possiamo fare per vincere la carestia?

ALCUNI SEMPLICI SUGGERIMENTI (NON ESAUSTIVI O CONCLUSIVI) SU CUI RIFLETTERE E CONTESTUALIZZARE NELLA PROPRIA CHIESA LOCALE:

1. Incrementare la frequenza dei nostri momenti di “agape fraterna”. 

Termine usato in molte denominazioni per descrivere momenti dove la chiesa si raduna nei propri locali o altrove per stare insieme, mangiare, giocare, lodare Dio ecc. Momenti più “distesi” e senza un programma rigido da seguire. 

2. Creare degli spazi prima e dopo il culto dove poter stare insieme. 

Dobbiamo essere più intenzionali nel creare la possiblità ai membri di chiesa di intrattenersi per stare insieme e condividere. Molto spesso, in alcune realtà, si spinge molto sulla sacralità del luogo e si sconsiglia l’interazione che per alcuni disturba il momento “sacro” del culto. 

Capisco che alcuni usano i minuti prima dell’inizio del culto per leggere la Bibbia e pregare. Ottima pratica sicuramente. Quindi, idealmente, se abbiamo gli spazi adeguati possiamo creare un altro ambiente (interno o esterno) dove chi invece preferisce interagire può farlo senza disturbare chi sta pregando o leggendo. Ci sono soluzioni semplici e pratiche come creare un angolo ristoro oppure comprare dei gazebi esterni. 

Credo che la comunione fraterna sia molto importante. Alcune persone, per svariati motivi familiari e lavorativi, hanno veramente poche occasioni per stare insieme agli altri. Se riusciamo, facilitiamo tutto questo anche se non è mai stata la nostra routine. Incoraggiamento certi comportamenti anche se inizialmente non riscontreranno la partecipazione di molti. 

3. Incrementare la partecipazione ai piccoli gruppi (cellule). 

I piccoli gruppi sono fondamentali. Specialmente per le chiese che superano gli 80/100 membri. 

Le cellule (chiamate anche life group, family group, famiglie, connect point ecc.) sono importanti per l’edificazione, la comunione, il discepolato e l’evangelizzazione.

Discorso sicuramente lungo ma vorrei soffermarmi su due aspetti importanti sullo svolgimento dei piccoli gruppi:

  • Ampio spazio alla comunione fraterna
  • Ampio spazio alla possibilità che tutti possano meditare, pregare e condividere quello che Dio ha messo nel loro cuore (non sono culti in miniatura). 

Diverse chiese, durante le cellule, approfondiscono i concetti spiegati durante la predicazione domenicale tramite domande aperte di studio e applicazione. Un modo intelligente per spingere le persone a meditare la parola durante la settimana e poi condividere insieme.

Spero di poter scrivere di più a riguardo in qualche prossimo articolo.

4. Stabilire ed incrementare un gruppo accoglienza che ricevere le persone nel locale di culto e in modo particolare chi è presente per le prime volte. 

Anche qui discorso lungo, ma credo che alcune persone più chiuse e timide possono essere incoraggiate se hanno delle persone di riferimento a cui rivolgersi per chiedere informazioni e delucidazioni sulle varie attività della chiesa ecc. Persone che possono accogliere e rendere “casa” il nostro locale per molti.

Un ruolo ben diverso da quello spesso chiamato “servizio d’ordine”.

5. Incrementare il tempo di preghiera e “ministrazione” dopo la predica

Spesso si tende a scappare dopo la predica (specialmente se lunga). Invece dobbiamo essere più intenzionali nel permettere alle persone di ricevere preghiera da parte dei ministri della chiesa. Non dico sempre ma quando lo Spirito Santo spinge in tal senso. Non dobbiamo aver timore di sforare gli orari. Lo Spirito è sovrano e le persone hanno spesso bisogno di un “tocco” personale oltre che una parola predicata. 

Tutti possiamo fare qualcosa in più per far terminare questa carestia del contatto. Abbiamo veramente un grande bisogno.

Dio ci benedica,
Antonio Morra